LA DONNA CHE PENSAVA DI ESSERE TRISTE | RECENSIONE.

Titolo: La donna che pensava di essere triste

Autore: Marita Bartolazzi

Editore: Exorma

Pagine: 149

Genere: Fiction

Prezzo: 13,50 euro

Voto: 3.5/5

 

 

 

 

TRAMA: 

In una città senza tempo e senza nome, la donna che pensava di essere triste cerca chi possa cucirle la coperta di tristezza di cui ha bisogno. Una piccola folla di personaggi, non si sa se reali o immaginari, si rivela più prodiga di consigli che di aiuto: animali parlanti, sarti collezionisti, figli che abitano in un trafficato supermercato dei sogni, un monumento di bronzo annoiato e girovago. In aggiunta a tutto questo le giornate si popolano di presenze che sembrano avere le sembianze della protagonista. Parti di lei che si sono staccate in un tempo dimenticato continuando a vivere da sole, per conto loro, scelgono quel preciso momento per riapparire. Anche le notti sono ricche di avvenimenti: sogni, visioni, incontri si susseguono. Il racconto si snoda pienamente nella realtà e allo stesso tempo in una leggera, impercettibile, perfetta sfasatura. In un’epoca in cui quello che è vero sembra non avere più alcun privilegio sul falso, questo libro ci propone l’accesso a un mondo “diversamente credibile”, come sempre ha fatto la letteratura: uno dei tanti mondi che affiancano le nostre giornate affannate e distratte. Un racconto-labirinto scritto in una lingua all’apparenza pacata, talvolta teneramente comica e malinconica, un’indagine che svela i retroscena nella vita di una donna volutamente qualsiasi e ci rammenta che dove crediamo di percepire qualcosa, spesso stiamo solo ricordando.

INCIPIT:

C’era una donna che pensava di essere triste. La sua tristezza aveva forma di tondi e losanghe e, attraverso quelle losanghe e quei tondi, lei la guardava come fosse un panorama.

RECENSIONE: 

“La donna che pensava di essere triste” penso sia il libro più particolare che io abbia mai letto. Non è precisata l’ambientazione, ne’ sono resi espliciti i nomi dei personaggi (la protagonista è e rimarrà per tutto il libro “la donna che pensava di essere triste”, questo vale per quasi tutti i personaggi).

Questo libro inizia con la donna che pensava di essere triste che cerca una semplice coperta di tristezza dal sarto, per poi diventare un’evolversi di situazioni quasi assurde. Realtà e finzione si confondono, si intrecciano e sembra quasi impossibile distinguerle. La donna che pensava di essere triste incontrerà e parlerà con vari personaggi, anche addirittura con varie se stesse – la se stessa dei sassolini o quella con il cappotto rosso – che penso rappresentino tutte le diverse sfaccettature di una persona. Altri personaggi di questo libro sono un monumento di bronzo e il gatto, che pronuncerà anche queste parole:

“Chi sa dire di avere il cuore spezzato non lo ha.
Chi dice di essere triste non lo è davvero.
Le parole sono un recinto
e un recinto è un confine che definisce.
Solo le cose senza nome e parole sono vere.”

Sull’ultima frase si basa, secondo me, questo libro: come già detto, niente è ben definito, questo potrebbe essere sia un punto di forza che un difetto. Per me è stato entrambi, non sempre l’ho apprezzato, anzi, a volte mi infastidiva addirittura.

Questo romanzo potrebbe essere paragonato ad una fiaba moderna, per le vicende, le atmosfere ricreate, le scene e per lo stile dell’autrice. L’intera storia è raccontata con delicatezza, è un libro lento, ma che ti trasporta quasi con mangia all’interno della storia della donna che pensava di essere triste.

La tristezza è in noi, è dentro di noi, la tristezza ci rende migliori, più calmi e riflessivi, meno propensi ad atti irresponsabili. La tristezza è una cosa di primaria importanza ed è così spesso sottovalutata.

Un suo tema principale rappresenta proprio la tristezza, trattata e descritta in tutte le sue forme. Diventa e sembra quasi un pregio, non viene vista come qualcosa da scacciare, ciò è confermato dal fatto che la stessa donna che pensava di essere triste cerca di trovare, nelle prime pagine, una coperta di tristezza con cui avvolgersi.

Parte integrante di questo libro sono anche i sogni. Presente in questo libro (e assiduamente frequentato dalla protagonista) è, infatti, il supermercato dei sogni. Qui la donna che pensava di essere triste non solo comprerà sia sogni che incubi, ma incontrerà anche Michele, che si dichiarerà suo figlio.

Per quanto la prosa e lo stile dell’autrice possa essermi piaciuto perchè realmente poetico, questa storia devo dire mi ha confuso. Sembrava che si stesse dicendo tutto e nulla. Una volta conclusa la lettura mi sono resa conto di avere ancora alcuni dubbi, domande irrisolte e, soprattutto, di non aver appreso appieno il significato di quest’opera.

Il mio voto finale per questo libro, dunque, è 3.5 su 5 stelle.